IL CUORE VERDE DEI TAMBURI di Augusto Ressa

Chi volesse vedere di questi tempi a Taranto una fioritura di candide calle, dovrebbe farsi una passeggiata al quartiere Tamburi. Perché Tamburi, ci crediate o no, ha il pollice verde. Quelle piante, e gli sparsi giardini, piccoli e grandi che caratterizzano questa parte di Taranto, nota alle cronache per ben altri, tristi motivi, ricordano che qui era in origine una estesa campagna, molto prima dell’insediamento della grande industria, rinomata per la salubrità dell’aria (sic!) ricca di vegetazione e punteggiata di masserie. Nella zona Nord, intorno alla Chiesa del Gesù Divin Lavoratore vi capiterà di passeggiare in un quartiere fatto di case basse, distribuite intorno ad ampie corti con un cuore verde, fatto di alti pini e cespugli di oleandri, immaginato per un modello abitativo destinato a favorire i rapporti di vicinato, a creare comunità. Vi troverete infatti a giocare, se il vento non spira da Nord Ovest, tanti bambini accompagnati dai genitori e dai nonni, come non se ne vedono ad esempio nel Borgo. Certo i giardini sono arruffati, disordinati, ma offrono un’immagine di intimità domestica di cui tutti possono godere, senza alcuna esibizione, semplicemente. I cancelli di recinzione racchiudono fazzoletti di terra o aree pavimentate suddivise da piccole aiuole dove ritrovi alberi ormai fuori moda, come il nespolo, il limone, anche qualche gigantesco ficus, e piante da fiore, come le rose, i tulipani, le clivie e, appunto, le calle. Lungo la via San Francesco, su un marciapiede sconnesso, qualcuno ha protetto alla men peggio due folti cespugli di calle in fiore, fissando nella terra dei tondini di ferro a cui ha legato una rete di plastica verde. Mi ha ricordato la leggerezza di Calvino, l’immagine della testa di Medusa che Perseo adagia sulla spiaggia su un letto di alghe. Trovo straordinario che nonostante tutto, nonostante il cattivo odore a volte penetrante che proviene dalla vicina industria (perché quell’industria è davvero puzzolente), e nonostante tutto il male che ne consegue, nonostante i cosiddetti, odiosi wind days, ci sia in quel quartiere chi tenacemente si ostina a curare le piante, a innaffiare e proteggere le calle, a seguire la fioritura delle rose. Nella mia passeggiata domenicale ho visto una nonna intenta a rinvasare una pianta di geranio rosso nel suo piccolo giardino con al seguito il nipotino, attento a seguirne, seduto su un triciclo, i lenti e sapienti gesti: due generazioni di un quartiere malato dove si coltiva la bellezza e la speranza, nonostante. Verrà la foresta urbana. Intanto da piccole formiche qui si coltivano questi speciali giardini, sembrano volerci dire gli abitanti dei Tamburi. Ma la foresta avrà la stessa poesia di queste piante domestiche? Nei giardini che separano i blocchi edilizi dell’INA Casa contrassegnati dalle belle piastrelle in maiolica coperte da strati di polvere, i residenti hanno collocato su semplici piedistalli, sui quali si avviluppano piante rampicanti, statue in gesso della Madonna e di san Pio, ai quali affidare il proprio destino, a rimarcare la dimensione domestica di questi luoghi e la cura che ad essi è rivolta, che ha la forza di una preghiera corale. In questa cura scopro l’alta cifra culturale di una popolazione offesa da un’industria nociva e puzzolente, che puo’ aver avvelenato la terra dei nostri giardini, intaccato i nostri corpi, stroncato con violenza i nostri affetti, ma che non riuscirà a corrompere la nostra profonda natura, la nostra anima.Ho detto i nostri e la nostra, perché noi tarantini, ora più che mai, siamo tutti del quartiere Tamburi.

Foto dell’Architetto Augusto Ressa

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