La Storia di Taranto in pillole
Il monumento a Giovanni Paisiello
di Mario Guadagnolo
Approfitto di un momento di pausa per riprendere le nostre chiacchierate sulla storia della nostra città in pillole.
Percorrendo la Discesa del Vasto insieme al mio ospite al quale mi sono impegnato a raccontare qualcosa della città, mi accorgo che la sua attenzione viene attratta dal monumento a Giovanni Paisiello sulla sinistra dello stradone.
Non colgo nel suo volto la solita espressione di ammirata meraviglia, anzi vi leggo una certa perplessità che non esita ad esprimere “Scusi professore ma che ha fatto di male il signore rappresentato da quel busto perché gli sia stato dedicato questo discutibile monumento?”.
Capisco il mio interlocutore che è uno che di arte se ne intende e che è pure di gusti raffinati.
Gli rispondo:“Se proprio vuol saperlo prima le racconto chi è quel signore del busto e poi le racconto le vicende che hanno portato alla erezione di questo monumento”.
E allora cominciamo dall’inizio. Deve sapere che il signore rappresentato in quel busto bronzeo è Giovanni Paisiello un musicista tarantino nato il 9 maggio del 1740 e morto nel 1816.
Era molto conosciuto non solo in Italia ma in tutta Europa. Fu attivo a Pietroburgo, a Vienna e a Parigi e soprattutto alla corte di Napoli. Fu autore di opere buffe, “La serva padrona”, la “Nina”, la “Pazza per Amore”. Fu anche autore di musica sinfonica e da camera.
Paisiello, quindi, è un grande tarantino in onore del quale, nel bicentenario della nascita, nel 1940 il marchese Raffaele Giovinazzi, podestà, aveva deciso di erigere un monumento celebrativo.
Per questa ragione aveva affidato il relativo progetto allo scultore Pietro Canonica, torinese, nato nel 1869 e morto nel 1959, famoso per le sue opere nel campo dei monumenti funerari e celebrativi, esponente di quel classicismo di maniera ormai superato negli anni dell’avanguardia del secondo dopoguerra.
Ma nel 1940 iniziò il secondo conflitto mondiale per cui il progetto venne accantonato. Finita la guerra, nel 1954, Sindaco Nicola De Falco, il Consiglio Comunale decise all’unanimità di riprendere l’idea del monumento e stanziò due milioni in ciò affiancato dal Consiglio Provinciale che aveva condiviso l’idea e che per questo ne aveva stanziati altri tre.
Furono invitati al concorso dodici scultori, ma rispose all’invito solo lo scultore Francesco Messina che però pose per la realizzazione dell’opera, condizioni finanziarie non sostenibili dalle amministrazioni per cui non se ne fece nulla.
Venne quindi bandito un secondo concorso nazionale e costituita una giuria con il compito di giudicare i progetti. Della giuria facevano parte nomi importanti della cultura e dell’avanguardia artistica italiana come Cesare Brandi, Pericle Fazzini, Virgilio Guzzi, Marco Valsecchi, Bruno Zevi, Raffaele Carrieri.
Al concorso parteciparono scultori di grande fama come Franchina, Minguzzi, Leonciello, Mazzacurati. La giuria scelse il bozzetto di Nino Franchina e dell’architetto Ugo Sissa. Esso rappresentava una figura musicale danzante che sale senza materia verso il cielo, espressione di pura arte astratta.
La scelta per la collocazione del monumento cadde su Piazza Castello, davanti al Municipio e al Castello Aragonese. Ma il concorso venne annullato per motivi mai sufficientemente chiariti e al posto del monumento ideato da Franchina venne realizzato il vecchio progetto di Canonica, quello attualmente esistente.
Il 15 febbraio del 1960, Sindaco Angelo Monfredi, il monumento a Paisiello fu inaugurato e collocato in un giardino in Piazza Castello.
Le ragioni della bocciatura del bozzetto di Franchina risiedevano nel fatto che esso, espressione di arte astratta, non fu compreso dai rappresentanti dell’amministrazione comunale e della cultura tarantina dell’epoca legati ancora ad una visione classicistica dell’arte e quindi impermeabili a qualsiasi novità compresa ovviamente l’arte moderna e d’avanguardia.
Cosa era accaduto? Come è noto, il Sindaco Nicola De Falco era comunista ma non era certamente un intenditore di opere d’arte per cui si rivolse alla direzione del suo partito. I componenti della commissione culturale del PCI, al tempo nelle mani di Mario Alicata, compreso Togliatti erano ancora legati ad una concezione zdanovista dell’arte che deve rappresentare un’idea ma deve essere prima di tutto comprensibile al popolo.
In questa ottica l’arte astratta era da bocciare perché non utile alla bisogna. Meglio l’arte figurativa e Zdanov. Per questo la Direzione del PCI ordinò a De Falco di far bocciare il bozzetto di Franchina, benchè vincitore del concorso. De Falco da buon militante del partito obbedì agli ordini e il bozzetto di Franchina finì nel cestino creando una lunga scia di polemiche nella città e facendo fare ai tarantini nel panorama della cultura nazionale una figura da ignoranti e incompetenti di cui si fece portavoce la Fiera letteraria.
L’episodio ha rappresentato anche un vulnus tra la città di Taranto e la famiglia di Nino Franchina che durerà mezzo secolo. Ma il monumento andava realizzato e fu scelto il busto del Canonica. Ma anche il busto del Canonica non avrà migliore fortuna.
Esso non troverà né pace né una collocazione stabile. Successivamente sarà spostato dal sito di Piazza Castello in un angolo della Discesa del Vasto di fronte al canale navigabile dove si trova tuttora e da dove guarda corrucciato i suoi concittadini che non hanno saputo dargli una collocazione degna del suo prestigio.
E c’è pure chi, temendo per alcune particolari capacità di menagramo di Paisiello, ritiene che le fortune della città non si realizzeranno fino a quando non si sarà calmata l’ira funesta dell’anima del musicista.
I recenti lavori di restauro del monumento
Onore a Giovanni Paisiello nel duecentesimo della morte
L'Inno del Regno delle Due Sicilie di Giovanni Paisiello
Versione per organo e soprano eseguita in occasione della messa in onore di Francesco II di Borbone, ultimo Re di Napoli, dai maestri Giuseppe D’Errico (Organo) e Ellida Basso (Soprano), l’inno al Re è stato composto e musicato da Giovanni Paisiello tra la fine del settecento e gli inizi del secolo decimonono e successivamente adottato come inno nazionale del Regno delle Due Sicilie, precisamente nel 1816. Il nome del sovrano nel testo veniva successivamente cambiato alla salita al trono dei nuovi sovrani eletti. Il testo originario riporta il nome Fernando, diminutivo di Ferdinando, riferito a Ferdinando I di Borbone Due Sicilie, sovrano che commissionò l’opera. La partitura originale prevede l’esecuzione con due parti di canto: soprano e basso, mentre gli strumenti utilizzati sono: flauti, clarinetti in do, oboi, corni in fa, trombe in do, fagotto e serpentone.