Capitolo Due - L’Oasi Nascosta

Il sole era alto nel cielo mentre la canoa scivolava silenziosa sulle acque del Mar Piccolo. Zane remava con gesti sicuri, il viso illuminato dalla luce dorata che si rifletteva sulla superficie increspata. Thalassia, seduta di fronte a lei, osservava il paesaggio che si dispiegava intorno.
Le rive erano cosparse di rifiuti: frammenti di polistirolo si ammassavano tra le rocce, bottiglie di plastica galleggiavano tra le onde come relitti di una civiltà alla deriva. Gabbiani volteggiavano sopra di loro, alcuni tuffandosi tra i detriti alla ricerca di cibo. Thalassia scosse la testa.
“Chi vive di mare dovrebbe rispettarlo, non distruggerlo,” disse, quasi tra sé e sé.
Zane annuì, il tono amaro. “Eppure, molti non vedono il legame tra il loro lavoro e l’ecosistema che li sostiene. Pensano solo al guadagno immediato, non al domani.”
Poco più avanti, notarono una piccola barca nascosta tra le rocce. Zane strinse le labbra. “Pesca illegale,” sussurrò. “Oloturie e cavallucci marini, venduti al mercato nero cinese. Distruggono il mare per pochi soldi… e lo fanno pure tranquilli, tanto un giudice ha detto che non è disastro ambientale. Siamo salvi, no?”
Thalassia rabbrividì. Il degrado intorno a lei era già soffocante, ma sapere che la devastazione non si fermava alla superficie, che le mani dell’uomo arrivavano a saccheggiare persino il fondo del mare, la colpì ancora più a fondo.
Poi, qualcosa cambiò.
I cumuli di rifiuti lasciarono spazio a uno scenario completamente diverso. Il mare si apriva davanti a loro, limpido, quasi irreale. Le rive, fin lì soffocate dai rifiuti, ora erano un mosaico di vegetazione rigogliosa e acque cristalline che riflettevano il cielo senza ostacoli. Il canto degli uccelli sostituì il suono sordo della plastica sbattuta dal vento.
“Quindi non è un miraggio?” mormorò Thalassia, quasi temendo che parlare ad alta voce potesse infrangere quell’immagine.
Zane ridacchiò, manovrando la pagaia con naturalezza. “No, ma capisco lo shock. Ti servono un paio d’ore per disintossicarti dall’idea che ogni spazio naturale sia perso per sempre.”
Thalassia annuì. Era ancora troppo presto per lasciarsi andare, ma qualcosa in quel luogo le trasmetteva una strana sensazione… di possibilità.
Dopo qualche minuto di silenzio, la canoa raggiunse una piccola insenatura. Sbarcarono su una piccola riva, dove la vegetazione si faceva più fitta. Zane si voltò verso Thalassia.
“Da qui dovrai proseguire da sola.”
Thalassia la guardò, sorpresa. “Sola?”
“Sì. Qui ci troviamo nel Santuario delle Acque. Devi raggiungere l’Oasi delle Antiche Sorgenti, dove dimora la nostra comunità. Segui il sentiero tra gli alberi. Ma prima, voglio che tu raccolga qualcosa per la festa di stasera. Qualcosa di bello.”
Thalassia annuì, anche se non era sicura di aver capito appieno il senso di quella richiesta. Con un cenno d’intesa, scese dalla canoa e si incamminò lungo la riva.
L’aria sapeva di terra umida e foglie appena mosse dal vento. L’acqua si insinuava silenziosa tra gli alberi, creando giochi di riflessi tra le fronde. Ogni passo le rivelava una nuova sfumatura di vita: tra l’erba spuntavano asfodeli bianchi, alti e fieri come sentinelle; accanto a loro, distese di erba vajola, con i loro petali gialli e carnosi, sembravano danzare sotto il sole. Più avanti, Thalassia notò un piccolo angolo dominato dalle delicate orchis italica, le orchidee selvatiche, così perfette da sembrare ricamate sulla terra.
Era un’esplosione di colori e profumi.
Dopo tutto quel degrado, Thalassia ebbe un istinto primordiale: afferrare quanta più bellezza possibile, riempire le mani di tutto ciò che fosse vivo, integro, incontaminato.
Fu allora che li notò.
Le api ronzavano tra i petali, immerse nel loro incessante lavoro di impollinazione. Le osservò mentre raccoglievano il nettare, trasportando il polline da un fiore all’altro, mantenendo in vita quell’angolo di paradiso.
All’improvviso, comprese.
Non poteva spezzare quel ciclo. Non poteva portare via qualcosa solo per il piacere estetico, ignorando la sua funzione nell’ecosistema. Se avesse colto quei fiori, cosa avrebbe tolto a questo luogo?
Si alzò lentamente, lasciando i fiori intatti, e riprese il cammino.
Quando finalmente raggiunse l’Oasi delle Antiche Sorgenti, il sole cominciava a calare. La comunità era riunita in un grande spazio all’aperto, tra alberi secolari e pergolati coperti di vite selvatica. Le luci del tramonto accendevano sfumature d’oro sulle pietre antiche delle costruzioni, e l’aria era densa di voci, di vita.
Zane la vide arrivare e le si avvicinò, scrutandola con curiosità.
“E gli addobbi per la festa?”
Thalassia inspirò profondamente. “Non ho preso nulla. Ho visto la bellezza, ma ho anche capito il suo valore. I fiori non erano solo belli, erano vita. Non potevo portarli via.”
Per un attimo, ci fu silenzio. Poi Zane sorrise, con un’espressione di approvazione.
“Benvenuta, Thalassia.”
Intorno a lei, i volti della comunità si illuminarono. Aveva superato la prova. Aveva visto la bellezza, e l’aveva rispettata.