Capitolo 5 - Il Guardiano delle Radici

“Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, impara la verità.”
— Hermann Hesse


Era un silenzio diverso, quello che abitava tra le Mura Greche. Non il silenzio vuoto della città abbandonata, ma quello vivo della natura che respira piano. Un silenzio che non taceva, ma sussurrava: tra il fruscio delle foglie, il canto timido di un uccello, il ronzare discreto delle api. Ogni suono sembrava custodito, come se il tempo stesso avesse deciso di rallentare per non disturbare quel frammento di equilibrio.

Thalassia varcò il cancello del parco senza sapere davvero perché, ma con la certezza che lì qualcosa stava ancora resistendo. Tra i resti delle antiche mura della città greca, le pietre parevano fondersi con il verde: radici e storia intrecciate nello stesso respiro.

Nel cuore del parco, un carrubo si ergeva solitario, possente, le radici affondate tra le rovine. E davanti a lui, c’era Elio.

Era fermo, in ascolto. Sembrava parte del paesaggio, come se anche lui fosse cresciuto lì. Quando si voltò, sorrise.

“Vieni a conoscere il vecchio?” chiese, accennando all’albero.

Thalassia annuì, avvicinandosi.

“Elio… perché proprio questo albero?”

“Perché è testardo,” rispose. “Cresce dove sembra impossibile. Si aggrappa alla roccia, all’arsura, all’incuria. Eppure resiste. Cresce piano, ma non si ferma.”

Accarezzò la corteccia scura con rispetto.

“E poi… i suoi frutti sono preziosi. I baccelli del carrubo si usano da sempre per nutrire capre e pecore. Sono pieni di proteine. È un albero che non solo resiste, ma nutre. È utile, silenziosamente.”

Si voltò verso le mura che li circondavano.

“Queste sono le fondamenta dell’antica Taras. Le hanno costruite più di duemila anni fa. E guarda… sono ancora qui. Il parco, oggi, è anche un bosco urbano. Hanno piantato centinaia di alberi. È un piccolo polmone che respira con la città, anche se in pochi lo ascoltano.”

“Tu lo ascolti,” disse Thalassia.

“Sì. Ogni volta che vengo qui, mi ricordo che il passato non è polvere, è radice. E che le radici… servono anche a noi.”

Fece una pausa, poi estrasse un piccolo involucro di stoffa dalla tasca.

“Tienilo.”

Era un seme. Di carrubo.

“Non è da piantare subito. Ci vuole il momento giusto. E un luogo che possa accoglierlo.”

Thalassia lo prese, come si prende qualcosa di sacro. Non era solo un dono. Era una promessa.

Elio si allontanò, con passo leggero, tra le fronde.

Thalassia rimase davanti al carrubo. Le sue radici stringevano la terra e le pietre insieme, come se volessero impedire al tempo di separarle.

Custodire era già un atto rivoluzionario.

E forse, pensò, è questo che fanno i guardiani delle radici.

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