Capitolo 14 - La Voce del Mare

Era bastato un sussurro. Nessuna convocazione ufficiale, nessuna parola gridata.

Eppure, come chiamate da una marea silenziosa, le comunità si misero in cammino.

Dalle alture aride di Zambegandia, dai quartieri anneriti delle Lanterne Spente, dalle isole del Mar Grande, dai vicoli della città sommersa, dalle biblioteche segrete e dalle radure dell’Oasi.

Zane camminava accanto a Thalassia. Non parlavano.

Ma la direzione era chiara. Come se fosse il mare stesso a guidarli.

Raggiunsero una piccola insenatura, protetta da canneti e pali marini.

Lì, dove il mare sembrava trattenere il respiro, si radunarono.

C’erano le ragazze di Zambegandia, con i cartelli cuciti a mano.

I ragazzi della Biblioteca avevano portato una stampante solare e fogli riciclati.

Gli Isolani erano arrivati con piccole imbarcazioni, silenziosi.

I Paludiani sedevano sotto un salice, in cerchio.

Le maschere del quartiere delle Lanterne Spente erano appese agli alberi, a ricordare chi non c’era più.

Nessuno prendeva la parola.

Eppure tutti ascoltavano.

Thalassia posò a terra il suo zaino.

Lo aprì lentamente.

Tirò fuori i due piccoli sacchetti che portava con sé dall’inizio: uno ricevuto da Elio, uno dal ragazzo di

Zambegandia.

Non li aveva mai aperti.

Ora lo fece.

Dentro, c’erano semi.

E insieme ai semi, minuscoli rotolini di carta.

Li srotolò uno a uno.

Ogni bigliettino conteneva una parola scritta a mano:

Cura. Futuro. Acqua. Memoria. Ascolto. Fuoco buono. Utopia. Bellezza. Noi.

Le mani si alzarono a raccoglierli.

Ognuno ne prese uno, lo lesse, lo tenne.

Poi, qualcuno stese un telo bianco sulla sabbia.

Cominciarono a scrivere. Con carboncini, foglie, ruggine, inchiostri naturali.

Non era un manifesto. Non era un programma politico.

Era una Carta della Rinascita.

Nessuno firmò. Nessuno guidava. Solo voci che si intrecciavano.

Una donna anziana, seduta accanto a una bambina, disse piano:

«Noi non siamo il popolo che distrugge. Noi siamo quelli che ricuciono.»

Un ragazzo con le mani sporche di terra aggiunse:

«Se la città è mia, la tengo pulita. Se la sento mia, la difendo.»

Un pescatore guardò il mare e disse:

«Non serve un eroe. Serve un noi.»

Poi venne il tempo delle azioni.

Zambegandia prese in carico il monitoraggio delle sorgenti del Tara, con strumenti artigianali e appunti

condivisi.

I ragazzi della Biblioteca promisero di pubblicare online ogni dato ambientale raccolto.

 

Gli Isolani, insieme ai mitilicoltori, proposero una zona marina di tutela assoluta: una riserva di bellezza,

cultura e biodiversità.

Le Lanterne Spente avviarono una scuola popolare tra le mura annerite.

I Paludiani offrirono luoghi di ascolto e meditazione.

E una delegazione annunciò che la Carta sarebbe stata letta pubblicamente: non come protesta, ma come assemblea permanente.

Si fece sera. Il mare iniziò a parlare con le onde.

E in quel momento, chiunque fosse lì capì che la vera soluzione era una soltanto:

Partecipare. Appartenere. Sentirsi comunità.

Perché solo se senti tuo un luogo, lo custodisci.

Solo se ti interessa, lo difendi.

Solo se lo ami, non lo abbandoni.

I problemi ambientali, la sporcizia, l’abbandono, l’inquinamento.

Tutto questo trovava qui la prima vera risposta.

La cura non inizia dalle leggi, ma dallo sguardo.

Dalla coscienza.

Dal gesto quotidiano.

Thalassia prese i semi.

Li piantò nella sabbia umida.

Non per far nascere qualcosa ora.

Ma per affidare al futuro un gesto.

Un sogno. Un impegno.

Il rumore dell’acqua si fece più presente.

Un suono pieno, vivo.

Non più solo onde: ma voce.

Era la voce del mare.

E questa volta, tutta Degradoland l’aveva sentita.

Non era un mare qualsiasi.

Era il Mar Piccolo, cuore urbano e ferito.

Un mare dentro la città, crocevia di paradossi: tradito, avvelenato, dimenticato.

Eppure vivo.

Eppure ancora capace di parlare.

Molti l’avevano chiamato “mare del paradosso”.

Ma ora tornava ad essere elemento identitario.

Non un confine, ma un centro.

Non un residuo, ma una radice.

E come ogni radice, sapeva ancora nutrire.

Bastava volerlo ascoltare.

Poi Thalassia alzò gli occhi, seguendo il profilo del mare che si stendeva davanti a lei.

Il Mar Piccolo, nella sua mappa imperfetta, disegnava un otto, o forse un infinito.

E allora capì: non era solo un luogo da difendere.

Era il segno che la bellezza, quando resiste, non finisce mai.

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