Oltre le rovine, verso la resistenza

Thalassia si passò una mano sulla fronte, il sudore le colava lungo le tempie. Il caldo era soffocante, eppure un brivido di inquietudine le correva lungo la schiena. Non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva appena visto: quel cartello arrugginito, quella scritta surreale, “Taranto Capitale di Degradoland”.
Si guardò intorno. Le strade erano ancora più desolate di quanto avesse notato all’inizio. Nessuno sembrava muoversi tra i cumuli di spazzatura e le pattumiere impilate come barriere. Un’afa opprimente aleggiava sulle rovine della città, e il silenzio, interrotto solo dallo stridio lontano di un gabbiano, era assordante.
Doveva muoversi. Rimanere ferma non avrebbe aiutato a capire dove fosse finita, e soprattutto come tornare indietro. Si incamminò lungo quello che un tempo era stato un corso principale, cercando punti di riferimento. Ma più avanzava, più si rendeva conto di quanto tutto fosse cambiato: gli edifici anneriti dal tempo e dai fumi erano ridotti a gusci vuoti, finestre sbarrate o sfondate, saracinesche contorte dalla ruggine. Qualche insegna pendeva ancora dai muri, scheletri di un passato che sembrava lontanissimo.
Il Mar Piccolo, il suo rifugio, doveva essere da qualche parte oltre quelle rovine. Ma avrebbe trovato ancora la bellezza che ricordava? Aveva sentito parlare del progetto del flottante di pannelli fotovoltaici, un’idea ambiziosa che avrebbe dovuto fornire energia pulita alla città. Ma cosa ne era stato? Quando riuscì a scorgere il mare tra i vicoli in rovina, la risposta la colpì come un pugno allo stomaco: il flottante era ridotto a un relitto. Già alla sua costruzione era stato accolto con scetticismo: un ennesimo progetto di greenwashing spacciato per innovazione sostenibile, ma che in realtà aveva alterato l’ecosistema delicato del Mar Piccolo. Ora ne restava solo un ammasso di pannelli distrutti, alcuni sommersi, altri ancora a galla con i segni degli impatti dell’avifauna, che, ingannata dalla rifrazione, si era schiantata credendo di tuffarsi nell’acqua. Un’illusione di progresso che aveva lasciato dietro di sé solo macerie.
Un rumore improvviso la fece trasalire. Passi, lenti, pesanti, provenienti da una traversa alla sua sinistra. Poco dopo, tra le ombre dei palazzi fatiscenti, comparve una figura avvolta in un telo leggero, con una borsa di stoffa colma di rami e frutti raccolti lungo il cammino. Era Zane.
Aveva il viso segnato dal sole e dallo sforzo, ma negli occhi brillava un’intelligenza vivace. Si fermò un attimo, scrutando Thalassia con diffidenza. Poi sospirò e tornò a concentrarsi sulla sua borsa, estraendo con cura una manciata di bacche scure.
“Non mi aspettavo di trovare qualcun altro qui. Sono venuta a raccogliere gli ultimi frutti di mirto selvatico. Oggi festeggiamo un compleanno, e non c’è festa senza una crostata decente”, le disse con un sorriso rassicurante, quasi materno.
Thalassia la fissò per un istante, confusa dalla semplicità di quelle parole in mezzo a tanto degrado. Zane rise piano, scuotendo il capo.
“Vedi, anche in un posto come questo, ci sono ancora persone che si rimboccano le maniche. Non abbiamo tempo per aspettare un cambiamento che non arriva mai. Miglioriamo ciò che possiamo, pezzo dopo pezzo. La brace sotto la cenere esiste sempre. Bisogna solo soffiarci sopra.”
Zane osservò Thalassia per un istante, poi fece un cenno con il capo. “Vieni con me. Non posso lasciarti qui da sola.”
Senza esitare, si incamminò lungo un sentiero tra i ruderi, portandola verso il mare. Dopo pochi minuti, raggiunsero una piccola insenatura dove una canoa, ricavata da materiali di recupero, galleggiava tra le acque calme del Mar Piccolo. Zane salì con abilità, tendendo una mano a Thalassia, che si sistemò davanti a lei.
Mentre remavano tra le acque increspate, Zane indicò con un cenno della testa il relitto del flottante. “Vedi quello? Doveva essere l’ennesima rivoluzione ecologica. L’energia pulita, dicevano. Ma nessuno si è chiesto il costo reale. Hanno soffocato la mitilicoltura, distrutto l’habitat di specie protette, senza nemmeno portare i benefici promessi. Tutto per un pugno di fondi europei.”
Thalassia osservò il relitto, il metallo corroso dalle onde e i pannelli spaccati come ali spezzate. “E ora?” chiese.
Zane sorrise con amarezza. “Ora il mare si sta riprendendo ciò che gli appartiene. La natura si ribella, sempre. Ma ci vorranno anni prima che qui torni l’equilibrio.”
Thalassia rimase in silenzio per un attimo. “Quindi l’Agenda 2030, la transizione sostenibile…”
Zane scosse la testa. “Belle parole, a volte vuote. L’Agenda 2030 parla di sviluppo sostenibile, ma chi lo definisce? Sostenibile per chi? Per le aziende o per chi vive il territorio? La vera sostenibilità non si impone con progetti calati dall’alto. Nasce dalle comunità, da chi conosce davvero il valore di ogni angolo di questa terra.”
Remarono in silenzio per qualche minuto, il sole che si rifletteva sull’acqua.
“E voi? Cosa fate?” chiese infine Thalassia.
Zane sorrise. “Resistiamo. Proteggiamo quel poco che è rimasto. E cerchiamo di costruire qualcosa di migliore, giorno dopo giorno.”
Il profilo della costa stava cambiando. Tra la vegetazione rigogliosa, si intravedevano costruzioni nascoste tra gli alberi. “Benvenuta,” disse Zane, mentre si avvicinavano al rifugio della sua comunità”.