Capitolo 3 – Il cuore del mare
Il tramonto dipingeva il cielo con sfumature di arancio e rosa mentre Thalassia varcava l’ingresso dell’Oasi delle Antiche Sorgenti. Attorno a lei, la vegetazione sembrava pulsare di vita, avvolgendo i sentieri in un abbraccio verde. Le antiche masserie in pietra bianca emergevano tra gli alberi come custodi silenziosi di un tempo lontano, mentre i pergolati di vite selvatica filtravano la luce calda della sera.
Le persone si muovevano con naturalezza tra gli spazi aperti dell’Oasi. Alcuni trasportavano ceste colme di ortaggi appena raccolti, altri accendevano piccole lanterne intorno a un grande tavolo di legno. Thalassia sentì su di sé gli sguardi curiosi della comunità: c’era chi sorrideva con calore, chi la studiava con cautela, e chi sembrava semplicemente indaffarato nei propri compiti.
Un uomo dalla barba brizzolata e gli occhi attenti si avvicinò con passo calmo. Il suo portamento aveva qualcosa di solenne, e quando parlò, la sua voce risuonò con la fermezza di chi ha visto e vissuto molto.
“Benvenuta. Qui tutti hanno un ruolo. Ma prima di capire quale potrebbe essere il tuo, devi comprendere cosa ci lega a questo luogo.”
Era Nerio, il Custode della Memoria, e con quel semplice invito, Thalassia capì che stava per scoprire qualcosa di importante.
Nerio la condusse lungo un sentiero che si apriva sulla riva del Mar Piccolo. Il mare, calmo e profondo, rifletteva le ultime luci del sole come uno specchio incantato. Accanto a loro, un uomo con le mani segnate dal lavoro nel mare si voltò a guardarla.
“Vedi quest’acqua?”, disse Tilio, il Biologo del Mare, indicando la superficie immobile. “Sembra solo mare. Ma è molto di più.”
Si inginocchiò, raccogliendo una manciata d’acqua tra le dita.
“Questa è vita. Non solo per i mitili che alleviamo, ma per tutto ciò che esiste qui. Il Mar Piccolo è il cuore pulsante di questo territorio.”
Thalassia seguì il movimento della sua mano mentre l’acqua colava lentamente tra le sue dita. Lui continuò a parlare, con la calma di chi conosce bene il mare.

“Lo conosco da sempre, questo mare. Mio padre era un maestro d’ascia. Di quelli che sapevano leggere il legno e l’acqua con lo stesso sguardo. Io ho scelto un’altra strada, ho indossato il camice e preso in mano le provette, ma il mare… il mare me lo porto nel sangue. Le sue correnti hanno modellato anche me, come le carene delle barche che costruiva mio padre… Senza il Mar Piccolo, qui l’aria sarebbe più secca, le temperature più estreme. Il mare trattiene il calore del sole e lo rilascia piano, come un respiro. È lui a mitigare il clima, a dare ristoro alla terra.”
Si voltò verso una delle barche ormeggiate poco lontano, il legno scurito dal tempo e dall’acqua salmastra.
“E non è solo l’aria che cambia. Guarda quei pali, vedi le corde sommerse? Sono cariche di mitili, che filtrano l’acqua, giorno dopo giorno, senza chiedere nulla in cambio. Lavorano in silenzio, purificano ciò che altri sporcano. La gente dice che il mare è sporco, ma lui continua a fare il suo lavoro, come se avesse una volontà propria.”
Mentre parlava, alzò una mano e salutò due uomini a bordo di una barca che si stava avvicinando lentamente. Portavano sul volto la stanchezza del lavoro e la dignità di chi lo affronta ogni giorno.
“Tonino e Pasquale,” disse. “Due mitilicoltori. Hanno appena steso le cozze sui pergolari. La loro è una famiglia di mare, gente semplice, ma profondamente legata a queste acque.”
Poi indicò i pali, immersi a metà nel mare.
“La mitilicoltura è la parte emersa dell’ecosistema del Mar Piccolo: produce cibo, lavoro, identità. Ma è sotto il livello del mare che accade qualcosa di incredibile. Attorno a quei pali, negli anni, la natura ha costruito intere comunità sommerse. Gli organismi li hanno colonizzati, trasformandoli in colonne viventi. Spugne, ascidie, policheti, stelle marine, cavallucci, pesci ago… lo spessore dei pali si è triplicato per la vita che ospitano.”
“È la prova,” aggiunse Nerio, “che qui la vita non solo resiste, ma si reinventa.”
Thalassia scrutò meglio la superficie dell’acqua. Ora che sapeva cosa cercare, iniziò a notare i piccoli movimenti, le correnti invisibili che trasportavano vita.
“E poi c’è ciò che non vediamo.”, aggiunse Nerio. “Le praterie di Cymodocea, i rifugi dei cavallucci marini, le tane dei granchi tra i banchi di sabbia. Questo non è solo un mare, è una casa. E noi dobbiamo smettere di comportarci da ospiti ingrati.”
Per la prima volta, Thalassia sentì il Mar Piccolo come qualcosa di vivo, non solo come un’ombra della sua città.
Ma una voce interruppe la magia del momento.
“Belle parole. Ma davvero pensate che si possa ancora salvare?”
Un uomo dal volto scavato dal sole incrociò le braccia, scuotendo la testa con scetticismo. “Ci hanno scaricato dentro di tutto. Il mare può sopravvivere a questo?”
Ci fu un attimo di silenzio, poi un ragazzo si fece avanti. Elio, il più giovane della comunità, sorrise con entusiasmo.
“Vieni. Ti faccio vedere qualcosa.”
La condusse lungo la riva, tra le radici degli alberi che si allungavano fino all’acqua. E lì, tra i riflessi dorati del tramonto, Thalassia vide qualcosa che non si sarebbe mai aspettata.
L’acqua era più trasparente di quanto ricordasse. Tra i fondali sabbiosi, ciuffi verdi ondeggiavano al ritmo delle correnti.
“Cymodocea nodosa.”, disse Elio con un sorriso fiero. “Era quasi scomparsa, ma sta tornando.”
Più in là, attaccati ai pali immersi, i mitili si aggrappavano con forza, filtrando instancabili tutto ciò che li circondava.
E poi, nel cuore di quello scenario fragile ma potente, una minuscola creatura apparve tra le alghe.
Un cavalluccio marino.
Piccolo, perfetto, ancora lì.
Thalassia trattenne il respiro. Il mare stava guarendo da solo.
“Se gli lasciamo spazio, la natura sa cosa fare.”, disse Elio con semplicità.
E in quel momento, Thalassia lo capì davvero. Non era troppo tardi.
Quella sera, la comunità si riunì sotto un grande pergolato, illuminato da lanterne tremolanti. Il tavolo era colmo di cibo semplice e autentico: pane fatto in casa, ortaggi dell’Oasi, cozze raccolte con metodi sostenibili, vino scuro e profumato.
Dopo cena, Nerio si alzò e fece un cenno a tutti.
“È tempo.”
Si spostarono verso un angolo dell’Oasi, dove si ergeva un ulivo monumentale, il più antico della zona. Le sue radici affondavano nella terra come braccia che stringevano il passato e il futuro insieme.
Senza bisogno di parole, la comunità si prese per mano, formando un girotondo attorno all’albero. Si muovevano lentamente, in silenzio, lasciando che fosse la terra stessa a parlare.
Thalassia esitò solo un istante, poi intrecciò le dita alle loro.
E mentre il vento accarezzava le foglie dell’ulivo millenario, sentì per la prima volta che forse, il suo posto era lì.