Capitolo 12 - Il fuoco e la cenere

Il quartiere delle Lanterne Spente sapeva di ferro fuso e rassegnazione. La polvere nera si era posata su ogni cosa: i balconi, i giocattoli dimenticati nei cortili, i fili del bucato che nessuno più stendeva. L’ultimo incendio aveva lasciato dietro di sé una cicatrice ancora fumante, visibile da ogni angolo di Degradoland. Una fiammata si era levata dallo stabilimento come un urlo antico, e nessun piano di evacuazione era stato attivato.
Thalassia camminava tra le strade annerite, i passi attutiti dalla cenere che ricopriva l’asfalto. Ogni finestra chiusa era un occhio spento. Ogni volto incrociato, un volto segnato. La città era stanca di chiedere, ma non di ricordare.
All’interno della casetta-biblioteca del Giardino di Lulìa, il professor Marano sistemava una pila di fogli. Accanto a lui, il dottor Silvestri annotava dati su un taccuino già logoro. Aria, la bambina delle maschere, stava appendendo una nuova serie di creazioni: nere, rosse, striate di cenere. «Questa volta non servono per respirare meglio,» disse. «Ma per non smettere di guardare.»
«Ogni volta che c’è un incendio,» cominciò Marano, «si ripete la stessa sequenza. Silenzio. Minimizzazione. Impunità. Ma questa volta no. Questa volta la città ha visto.»
Apre un fascicolo ingiallito. «Decreto dopo decreto. Prima la produzione in deroga, poi i commissariamenti, le promesse di rilancio green, i patti d’acciaio, i patti col diavolo. Ogni governo ha avuto il suo decreto, ogni anno la sua bugia. E nessuno ha chiesto perdono.»
Thalassia ascoltava, trattenendo la rabbia tra le scapole. «Cosa ha detto la premier?»
Marano lesse ad alta voce da una dichiarazione ufficiale: «“Difendere il futuro dell’acciaio, tutelare l’indotto, garantire i livelli occupazionali.”»
«E la città?» chiese Aria. «Le strade evacuate, l’aria irrespirabile, il silenzio?»
«Non pervenuti,» sussurrò Silvestri.
Un uomo si alzò. Aveva le mani sporche di grasso e il volto scavato. «Ci lavoro, lì dentro. Da ventisette anni. Quando il fuoco è salito, correvamo come topi. Nessuno sapeva dove andare. Nessuna sirena. Nessuna radio. Solo fuoco. E poi ci hanno detto che è tutto sotto controllo.»
Nel silenzio che seguì, una donna poggiò sul tavolo una vecchia fotografia. Ritraeva un uomo in tuta blu, con gli occhi fissi e lo sguardo fiero.
«Lui non c’è più,» disse semplicemente. «Non è morto per caso. È morto per coerenza. Ha detto no quando tutti dicevano sì. Ha lasciato la fabbrica, ma non ha mai lasciato la sua città. Era uno di quelli che parlava chiaro, anche quando la voce tremava.»
Marano annuì. «Era uno che diceva che senza dignità non c’è lavoro. Che esiste una differenza tra sudditanza e cittadinanza. E che se c’è fuoco, non deve venire a bruciare la coscienza.»
Aria le porse una maschera annerita, decorata con una striscia di filo metallico. «Per lui. Perché certe voci non si seppelliscono. Si seminano.»
Thalassia si alzò in piedi. Guardò ognuno negli occhi.
«Questa città, come la mia, non è una zona franca. È una zona di sacrificio. Ci hanno chiesto di morire in silenzio per tenere in vita un mostro d’acciaio. Ma io dico basta. Il fuoco che brucia non è progresso. Il lavoro che uccide non è dignità. E i decreti che salvano l’acciaio mentre condannano i cittadini sono atti di guerra.»
Si avvicinò alla lavagna. Con un gessetto tracciò tre parole, lente, ferme:
CI VEDIAMO ALLA LUCE.
Marano annuì. «Facciamo come un tempo. Scriviamo. Dichiarazioni, documenti. Ma questa volta sarà la nostra carta. La Carta del Fuoco e della Cenere.»
E la scrissero.
–
LA CARTA DEL FUOCO E DELLA CENERE
Noi, cittadini della cenere,
non ci inchiniamo più al fuoco che divora.
Non accettiamo che il profitto sia legge,
nè che la ruggine valga più dei nostri sogni.
Respirare è un diritto. Morire non è un mestiere.
Chiediamo verità, giustizia, disarmo industriale.
E soprattutto, chiediamo rispetto.
–
Quella sera, davanti ai cancelli anneriti dell’ex Ilva, si radunarono in centinaia. Maschere sul volto, candele in mano. Tutti in silenzio. Poi una voce. Poi un’altra. Un canto.
«Né fumi né fuoco… solo futuro…»
E fu così che, nella notte più buia, nacque un inizio.