Dalla Magna Grecia all’Ucraina: i venti di guerra soffiano su Europa, figlia dolente di Agenore e Telefessa
di Arturo Guastella - 27/02/2022
«Gea — spiegano ad una voce, Esiodo, Plutarco, Diodoro Siculo e Timeo —, come già qualche millennio fa, è andata a lamentarsi con il signore dell’Olimpo, di essere stanca. Gli uomini le pesano sempre di più e chiede al fratello un rimedio urgente». Da qui la storia di Elena di Troia: non già sposa frivola e infedele, ma strumento degli Dei per far venire alle armi Achei e Frigi, per alleggerire la Terra dai mortali che sempre più numerosi l’opprimevano. Il vostro cronista era presente a quel “cenacolo” e, lì per lì, ha la tentazione di raccontare ai suoi interlocutori che ora ci sono altri dei e altri eroi. Uno vive sul monte Cremlino e, più che sulla bellezza sconvolgente di una Irina o Svetlana, conta su centinaia di migliaia di “opliti” per imporre le sue volontà. L’altro regna dall’alto della White House e, in questo braccio di ferro con il suo omologo, pensa di trovarsi ancora, e suo malgrado, nel musical omonimo di Leonard Bernstein
Il racconto di ARTURO GUASTELLA, nostro inviato nella Magna Grecia
QUI, IN MAGNA GRECIA, non si avrebbero dubbi. I venti di guerra tra la Russia e l’Occidente, non sarebbero imputabili all’ambizione del neo Zar russo, o alla voglia di riscatto d’immagine del suo omologo americano, ma al volere di Zeus. «Il fatto è — spiegano ad una voce, Esiodo, Plutarco, Diodoro Siculo e Timeo — che Gea, la Dea della terra, come già qualche millennio fa, è andata a lamentarsi con il signore dell’Olimpo di essere stanca. Gli uomini le pesano sempre di più e chiede al fratello un rimedio urgente». Naturalmente il vostro cronista era presente a quella sorta di “cenacolo”, anche se non mi ricordo se sia tenuto in Calabria, in una caverna del Dolcedorme, o nei pressi di una miniera di zolfo, nel cuore della Sicilia, nel crinale occidentale dei Nebrodi.
In ogni caso, una simile tesi (questa sì che “puzza” di zolfo), deve aver fatto affiorare sul mio viso un’evidente smorfia di scetticismo, tale, in ogni caso, da far prendere cappello a Diodoro Siculo, fumantino come il suo vulcano, che, rivolgendosi ai suoi colleghi storici e teologi, li invitò ad ignorarmi, perché «il poveretto (che sarebbe, poi, il vostro narratore), nella sua lacunosa cultura, certamente non avrà mai sentito parlare dei Canti Ciprii». Anche se gravemente azzoppato da questa accusa dell’autore della strafamosa Biblioteca Storica, riuscii solo a balbettare che sì, mi pareva di ricordare qualcosa di un poema dell’Epos non omerico, al pari degli Inni di Esiodo, del quale, però, ne erano rimasti solo alcuni frammenti, e che mi pare si chiamasse Cypria, ma che contenesse solo formule dedicate ad Oceano, come (e qui mi si era gonfiato il petto) raccontato da Licio Diadoco Proclo e dallo Pseudo Apollodoro.
«Ed è qui, che ti sbagli — intervenne lo stesso bizantino Proclo — in quanto i Canti Ciprii erano ben conosciuti, tanto che in piena classicità greca, Euripide vi prese lo spunto per riscrivere la storia di Elena. Non già sposa frivola e consapevolmente infedele, ma strumento degli Dei per far venire alle armi Achei e Frigi e causare migliaia di morti, proprio per alleggerire la Terra dai mortali che sempre più numerosi l’opprimevano». «In quella circostanza — interviene Plutarco — i Numi si servirono della bellezza sconvolgente (kallisteuma) di Elena, di quel corpo meraviglioso, programmato per essere un flagello e spinto da Afrodite nelle braccia di Paride-Alessandro, proprio per realizzare il cupo disegno del padre degli Dei». A margine dell’intervento di Plutarco, e deve essergli costato…, Esiodo, citando il suo collega e contemporaneo Omero, aggiunse: «Elena era di una bellezza fatale, costrittiva e irresistibile, tanto che chi la guardava veniva travolto da Ananke, la necessità improrogabile, e ben lo sanno i vecchi Troiani, che quando la vedono salire le mura di Ilio, esclamano come non siano da biasimare i sudditi di Priamo e neppure gli Achei begli-schinieri, se per una tale donna soffrono tanti lunghi mali». E non è forse lo stesso Priamo, intervengo io, che alla sua vista esclama «tu, Elena, per te stessa non sei causa di niente, solo gli Dei sono causa di tutto: loro hanno scatenato questa guerra». (Iliade, III). Lo stesso Esiodo, che di divinità se ne intendeva assai, ma che è anche uomo fra gli uomini, si lascia andare ad una rampogna nei confronti degli Olimpi, che ritengono gli uomini «un fardello ingombrante che occorre sloggiare dagli spazi che sempre più numerosi occupano. Essi, i mangiatori di pane, debbono mantenere solo la coscienza della loro finitezza, che sono tanto effimeri quanto le foglie di una stagione».
Mi sarebbe venuta la tentazione di raccontare ai miei illustri interlocutori (sorridono, con un filo di ironia, Timeo ed Ecateo a questa mia temeraria affermazione di interlocuzione…) che ora ci sono altri Dei e altri eroi. Uno, quello che vive su un monte chiamato Cremlino, più che alla bellezza sconvolgente di una Irina, Svetlana o Sonia, conta su centinaia di migliaia di “opliti” per imporre le sue volontà. Mentre l’altro, che regna dall’alto della White House, al 1660 di Pennysilvania Avenue, in questo braccio di ferro con il suo omologo, oltre alle centinaia di migliaia di armati, pensa forse di trovarsi ancora, e suo malgrado, nel musical omonimo di Leonard Bernstein (sic!). Con mia grande sorpresa, tutti, ma proprio tutti i miei interlocutori (ci risiamo), non sembrano meravigliarsi poi tanto di questo mio racconto. «Non sono Dei — afferma deciso Esiodo — ma uomini che si credono divini, ridondanti di Hybris, di quella tracotanza che finirà per perderli». «Ci sarà, vedrai, un Calcante — interviene, inaspettatamente una gran tonaca, quel Francoise Hédelin, abate di Aubignac, considerato uno dei più autorevoli studiosi di Omero — che gli farà capire, come ad Agamennone per Criseide, che gli uomini sono uomini e non possono impunemente ergersi a Dei».
«Ma smettiamola, ora di parlare di guerra, di morti, di sacrifici, di numi irritati e di stragi — mi apostrofano Ecateo e Timeo — e, visto che abbiamo fin qui parlato degli Immortali, non credere che poi Zeus volesse davvero accontentare Gea a spopolare la terra dagli uomini. Ci ha raccontato, infatti, Esiodo — con gli Dei egli ha, come dovresti sapere, un rapporto speciale — che poi Gea, invitata ad un banchetto all’Olimpo, si sia ripresa dalla stanchezza e non si sia più lagnata». «A questo specifico proposito chiediamo a te — continuano i due storici — che sei aduso frequentare i nostri stessi sentieri, in Tessaglia, come nella Focide, nell’Attica, o nel Peloponneso e in tutta la Magna Grecia, chi sono questi pittori, Raffaello, Giulio Romano, Tintoretto, che presumiamo italioti come te, e che hanno saputo ritrarre così magnificamente il Banchetto degli Dei». Ed il vostro cronista, giù a parlare dell’Urbinate, del veneziano Jacopo Robusti e del romano Giulio Pippi de’ Jannuzzi, che hanno così favorevolmente impressionato i miei illustri interlocutori. E, per stemperare i venti di guerra, mi piacerebbe che il Sire del Cremlino, a proposito di pittori e di Dei, andasse a vedere le opere oniriche di un Viktor Vasnetsòv sull’epos russo, o il bellissimo film sui dipinti degli Dei nei musei russi, l’Arca Russa, di Aleksandr Sokurov.
Giornalista dal 1971. Ha alternato la sua carriera di biochimico con quella della scrittura. Ha diretto per 14 anni “Videolevante”, una televisione pugliese. Ha tenuto corrispondenze dall’Italia e dall’estero per “Il Messaggero”, “Corriere della Sera”, “Quotidiano”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” per la quale è editorialista. Con la casa editrice Scorpione, ha pubblicato “Fatti Così” e, con i Libri di Icaro, “Taranto – tra pistole e ciminiere, storia di una saga criminale”, scritto a due mani con il Procuratore Generale della Corte d’Assise di Taranto, Nicolangelo Ghizzardi. Per i “Quaderni” del Circolo Rosselli, ha pubblicato, con Vittorio Emiliani, Piergiovanni Guzzo e Roberto Conforti, “Dossier Archeologia” e, per il Touring club italiano, i “Musei del Sud”.
Grazie