L’arrivo delle navi rigassificatrici sono un oggettivo pericolo.

per Taranto, Sito d’Interesse Nazionale (SIN)

di Gladys Spiliopoulos

Gladys Spiliopoulos, economista ambientale, membro del Comitato per la Difesa del Territorio Jonico, del WWF Taranto e del relativo Comitato Scientifico, ha seguito fin dall’inizio la vicenda del dissalatore del fiume Tara e ha curato le osservazioni contrarie al progetto di fotovoltaico flottante nel Mar Piccolo.

Ha analizzato il progetto della nave rigassificatrice a Taranto grazie alle competenze maturate nella valutazione dei servizi ecosistemici, nell’analisi costi-benefici e nella lettura delle normative europee in materia di ambiente e sicurezza, competenze messe a disposizione delle realtà associative di cui fa parte.

Questa è la sua analisi tecnico-scientifica tra rischi ambientali, sicurezza e false promesse economiche.

L’ipotesi di installare un’unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione (FSRU) nel porto di Taranto si inserisce in un contesto territoriale già segnato da una pressione industriale e ambientale senza precedenti. Taranto è un Sito di Interesse Nazionale (SIN) per le bonifiche, riconosciuto per la gravità della contaminazione storica e per il rischio sanitario cumulativo che grava sulla popolazione. È anche un nodo portuale strategico, ma fragile, stretto tra le esigenze di rilancio economico e la necessità inderogabile di una vera transizione ecologica.

A fronte di dichiarazioni ottimistiche – come quelle di Confindustria Taranto e del Consorzio Ionian Shipping, che parlano di “sicurezza garantita”, “opportunità occupazionali” e “rilancio dei traffici” – occorre verificare, alla luce della letteratura scientifica, della normativa europea e delle esperienze recenti, se tali affermazioni trovino riscontro.

Sicurezza garantita? Il vincolo Seveso e l’area SIN

Una FSRU è classificata come impianto a rischio di incidente rilevante ai sensi della Direttiva Seveso III (2012/18/UE). La manipolazione di gas naturale liquefatto (GNL) – sostanza estremamente infiammabile, mantenuta a –162 °C – comporta scenari incidentali che includono esplosioni, incendi e dispersioni criogeniche.

Il GNL, se accidentalmente rilasciato in mare, evapora istantaneamente: il liquido passa allo stato gassoso formando bolle di metano che si diffondono appena sotto la superficie, trattenute dalla tensione superficiale marina. Queste bolle, muovendosi in tutte le direzioni fino a raggiungere un diametro critico, possono innescare una deflagrazione devastante. È un fenomeno paragonabile all’olio versato in una pentola di acqua bollente: per il GNL, l’acqua del mare diventa il catalizzatore del passaggio allo stato gassoso e della successiva esplosione.

Nel caso di Taranto, il rischio è aggravato dalla prossimità con altre installazioni industriali. La torcia dell’Eni si trova a circa 1,7 km dal molo polisettoriale: in caso di incidente, la possibilità di un effetto domino sarebbe concreta, con conseguenze incalcolabili.

Va inoltre ricordato che Taranto è una base NATO e area di transito di sottomarini a propulsione nucleare, di cui non sono note né rotte né manovre operative. Una collisione accidentale tra una nave metaniera e un’unità militare comporterebbe rischi sistemici che vanno ben oltre la dimensione locale, rendendo il porto jonico un nodo geopolitico estremamente vulnerabile.

La Direttiva Seveso impone vincoli di pianificazione territoriale e criteri di non aggravio del rischio cumulativo, particolarmente stringenti in aree già industrializzate. Taranto ospita acciaieria, raffineria, depositi chimici e impianti energetici: un contesto in cui l’introduzione di una FSRU violerebbe la ratio stessa della normativa, che mira a ridurre e non a moltiplicare le sorgenti di rischio.

Definire “sicuro” un impianto di questo tipo nel cuore di un’area urbana e industriale già segnata da criticità ambientali è dunque un’affermazione priva di fondamento.

Opportunità occupazionali: il mito dei posti di lavoro

Confindustria e ISC insistono sulla retorica delle ricadute occupazionali, ma i “molteplici benefici per l’indotto” non sono supportati dai dati. I casi italiani recenti dimostrano infatti il contrario. A Piombino, l’impianto FSRU ha generato meno di 40 unità lavorative permanenti, a fronte di un impatto negativo sul traffico crocieristico (-70% tra 2023 e 2024) e sull’economia turistica. Anche a Ravenna, le promesse di occupazione si sono rivelate marginali rispetto ai rischi percepiti dalla comunità locale e agli impatti sugli ecosistemi marini.

Le FSRU sono impianti ad alta intensità di capitale e bassa intensità di lavoro a causa dell’altissimo livello di automazione. I posti temporanei in fase di cantiere non rappresentano un beneficio strutturale. In compenso, i settori tradizionali della pesca e della mitilicoltura rischiano di subire un colpo devastante, con perdite occupazionali permanenti, per gli effetti irreversibili sugli ecosistemi marini.

Rilancio dei traffici portuali o nuova marginalizzazione?

Secondo gli industriali, la FSRU “riattiverebbe i traffici”. In realtà, l’esperienza mostra che la presenza di un terminale di rigassificazione introduce vincoli di sicurezza che sottraggono aree operative e generano interferenze con le altre attività portuali.

A Taranto, ciò significa:

• interdire porzioni di specchio d’acqua;• ridurre la disponibilità di banchine per altri traffici commerciali e crocieristici;• aumentare il rischio di collisioni e incidenti, data la mole del traffico metaniero aggiuntivo.

Il porto ionico, già fragile e sottoutilizzato, rischierebbe di vincolarsi a una monocoltura energetica che riduce, invece di ampliare, la sua diversificazione economica.

Decarbonizzazione o lock-in fossile?

Il GNL viene presentato come “ponte” verso la decarbonizzazione. La letteratura scientifica dimostra il contrario.

Gli studi di Robert Howarth (Cornell University, 2023-2024) hanno quantificato l’impronta climatica del GNL lungo l’intero ciclo di vita (estrazione, liquefazione, trasporto, rigassificazione, combustione). Risultato: il GNL ha un impatto superiore al carbone del 33% su orizzonte ventennale (GWP20) e pari o superiore anche su scala secolare (GWP100)

Le cause principali sono le fughe di metano (slip e boil-off), gas che nei primi vent’anni è oltre 80 volte più climalterante della CO₂, e l’elevato consumo energetico dei processi di liquefazione e trasporto.

Parlare di “decarbonizzazione” tramite GNL significa ignorare la scienza più aggiornata e perpetuare una trappola fossile.

Modernità tecnologica o problemi insolubili?

Si cita spesso l’evoluzione tecnologica come garanzia. In realtà, gli studi recenti dimostrano che:

• i motori navali a due e quattro tempi, pur più efficienti, rilasciano più metano rispetto ai sistemi a vapore• i tentativi di mitigazione tramite cattura a bordo (Ship-Based Carbon Capture) risultano economicamente e tecnicamente insostenibili, con costi superiori a 130 €/tCO₂ e spazi incompatibili con le dimensioni delle metaniere

Affidarsi alla “tecnologia futura” come soluzione è un atto di fede, non un piano energetico razionale. La perdita dei servizi ecosistemici: un costo nascosto ma decisivo. Il Mar Piccolo e il Mar Grande non sono semplici bacini d’acqua: sono sistemi che forniscono servizi ecosistemici vitali.

• Approvvigionamento: la mitilicoltura tarantina, già vulnerabile, rischia collassi improvvisi per alterazioni di salinità, ossigeno e qualità delle acque.• Regolazione: habitat come le praterie di Posidonia oceanica sequestrano CO₂ e mantengono la qualità delle acque. La loro degradazione equivale a un costo economico e climatico aggiuntivo.• Culturali: il paesaggio marino e visivo, le Cheradi come polo turistico e identitario: valori immateriali che alimentano coesione sociale e reputazione.• Supporto: funzioni ecologiche di nursery e biodiversità marina che garantiscono resilienza al cambiamento climatico (vedesi presenza di delfini e soprattutto tursiopi sul tratto costiero).

Questi servizi, pur non contabilizzati nei bilanci industriali, hanno un valore stimabile in miliardi di euro secondo le metodologie TEEB e IPBES. La loro perdita rappresenta un costo-opportunità enorme, che vanifica ogni presunto beneficio della FSRU.

La proposta di una nave rigassificatrice a Taranto non risponde ai criteri minimi di sicurezza, sostenibilità e coerenza normativa. È una scelta regressiva, che moltiplica i rischi industriali, aggrava la crisi climatica, marginalizza le economie locali e distrugge capitale naturale.

In un territorio che ha già pagato un prezzo altissimo, perseverare su questa strada significa consolidare l’errore a avere disprezzo per il territorio e la salute della collettività.

Riferimenti bibliografici

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